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Tra gennaio e novembre 1824 L. scrive 20 prose,
di argomento filosofico e taglio satirico, a cui si aggiungono 2 testi del 1825
e due del 1832. Nell’edizione definitiva del 1845, delle 24 Operette, 17
sono in forma di dialogo, altre sono prose
artistiche o filosofiche.
Le Operette
morali vogliono assolvere a tre funzioni: rappresentare senza veli
l’inevitabilità del dolore, smascherare le illusioni consolatorie prevalenti
nel clima della Restaurazione, additare un modello di reazione all’infelicità
consistente nel coraggio di riconoscere i limiti della condizione umana e nella
solidarietà tra gli uomini.
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Nelle Operette
confluisce la riflessione elaborata da L. tra il 1819 e il 1823,
caratterizzata dal materialismo, dal “pessimismo cosmico”, dalla critica alle
ideologie dell’età della Restaurazione, cioè al moderatismo liberale, allo
spiritualismo cattolico, al progressismo scientista.
E’ possibile cogliere una differenza di ispirazione tra i
testi del 1824 e quelli aggiunti tra il 1827 e il 1832, nei quali compare
un’umana pietà e un invito alla
solidarietà.
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L’opera è caratterizzata dalla varietà di toni,
dal comico al tragico, e di elementi narrativi. I protagonisti sono personaggi storici
(T. Tasso, C. Colombo, G, Parini, F. Ruysch, Copernico, Plotino) o mitici
(Ercole, Atlante, Prometeo) o personificazioni (la Luna, la Moda, la Morte, la
Natura), o esseri fantastici (il folletto e lo gnomo, i diavoli Malambruno e
Farfarello, il gallo silvestre) o tipi umani (l’Islandese, il Metafisico, il Venditore
di almanacchi, Timandro ed Eleandro, Tristano).
I temi sono quelli caratteristici della riflessione
leopardiana: la teoria del piacere, la natura matrigna, l’illusione
antropocentrica, il mito del progresso, la noia, la morte, l’infelicità
universale, la ricerca della verità e il ruolo della ragione, infine la
compassione per gli individui semplici e comuni.
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L’organicità del libro consiste nel fine
concettuale e pratico: L. vuole mostrare “l’arido vero”, rifiutando tutte le
mistificazioni illusorie e colpevoli e, dal punto di vista pratico, vuole
indicare modi di vivere adeguati alla consapevolezza della reale condizione
umana. Ciò giustifica l’aggettivo “morali”, mentre il diminutivo “operette”
dipende dalla scelta di un’impostazione ironica e satirica, e a volte surreale,
invece che appropriata a una trattazione filosofica.
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L. si propone di dare all’Italia una prosa
filosofica moderna, caratterizzata da varietà, da raffinatezza stilistica e da
ricchezza espressiva. I pregi dello stile, però, devono corrispondere all’“importanza dei
pensieri e delle cose” ed esprimono il distacco dalla soggettività e dalle
emozioni da parte dell’autore, che usa con moderazione parole arcaiche e della
lingua letteraria, costrutti modellati sui classici, una studiata simmetria di
frasi e parole, sempre mantenendo la chiarezza di espressione.
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L’intento argomentativo e persuasivo si avvale
di un prevalente registro comico, nelle varie modalità dell’ironia, della
satira, del sarcasmo, del grottesco, “armi del ridicolo” che L. ritiene le più
adatte allo smascheramento e alla denuncia dei vizi, da cui può venire una nuova
moralità.
L’ironia e il riso, inoltre, hanno una funzione
liberatoria, mettono in risalto i limiti della condizione dell’uomo ma lo confortano,
rendendo accettabile la consapevolezza del dolore. Infatti il riso è uno
strumento di conoscenza e uno dei pochi modi che l’uomo possiede per accrescere
la sua vitalità .
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