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Il primo documento della poetica leopardiana, che si può definire organico
e coerente, è il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (1818), con cui il giovane poeta interviene nella polemica tra
classicisti e romantici.
Per Leopardi il Romanticismo è
quello che egli ha potuto conoscere, almeno nel 1818, attraverso la rivista Il Conciliatore e il Berchet. Da un lato
Berchet indicava tra i contenuti della nuova poesia la religione, l'amore, la
donna e poi l’orrido e il fiabesco della
poesia nordica, "le usanze, i culti, i climi, di nuovi mondi. Dall'altro
lato Il Conciliatore affermava che
scopo della letteratura e della poesia è far cosa utile a chi la legge, che la poesia
deve ispirarsi alla storia, alla realtà, ai tempi moderni, deve scaldare il
cuore della nazione.
Leopardi, educato al concetto vichiano di poesia come fantasia, ingenuità,
immaginazione, fanciullezza prerazionale dello spirito, rifiuta nettamente, il
romanticismo del Conciliatore e di Berchet, vale a dire il romanticismo quale
in Italia era penetrato e rivissuto. Lo condanna perché esso sottomette la
poesia al vero e all'utile o costruisce situazioni drammatiche, patetiche e
commoventi servendosi di mezzi esagerati e non verosimili, di situazioni, con
tutto quel corredo di streghe e spettri e folletti e gnomi, estranee al nostro
gusto di italiani, nella cui tradizione letteraria e popolare c'è un'altra
mitologia.
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Nel 1818, L. ritiene che l’origine di ogni emozione artistica sia nel
rapporto con la Natura, più facile e diretto per gli antichi, difficile invece
per i moderni. La poesia ha la funzione di ristabilire sul piano
dell’immaginazione quel rapporto diretto, sentimentale che la ragione e la civiltà
vanno distruggendo sul piano dell’intelletto.
Non essendo più possibile per i moderni il rapporto fantastico e
immaginativo degli antichi con la Natura, l’unica strada peri poeti moderni per
ristabilire un contatto armonico con la Natura è lo studio degli scrittori
antichi e l’imitazione dei loro procedimenti.
Il classicismo leopardiano,
quindi, rifiuta l’imitazione libresca e artificiosa di letterati classicisti a
lui contemporanei. Per L. il poeta deve tener desti dei modi di sentire propri
dell’uomo e ben sviluppati nel mondo antico: l’immaginazione, i valori, le
virtù (v. All’Italia – La Primavera o
delle favole antiche).
Come il classicismo leopardiano non ha nulla di quello tradizionale, così
la distanza dai romantici italiani non esclude significativi punti d’incontro con la cultura del
Romanticismo inglese e tedesco. Infatti si trovano anche in L. alcuni
importanti aspetti dell’immaginario romantico, quali la scissione io-mondo, la
tensione tra uomo e natura e uomo e civiltà, i temi del dolore, dell’infinito,
del mistero uniti all’atteggiamento agonistico e al “canto” lirico. D’altra
parte differenziano L. dal Romanticismo l’ideologia materialista e il rifiuto
dell’irrazionalismo in tutte le sue forme.
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Già nel 1819, attraverso la conoscenza di Rousseau e Madame de Staël, L.
accetta la distinzione di A. Schlegel tra poesia
d'immaginazione, quella degli antichi, e poesia di sentimento dei moderni. Si legge nello Zibaldone, a
proposito della "poesia sentimentale": "la sensibilità era negli
antichi in potenza, ma non in atto come in noi... lo sviluppo del sentimento e
della malinconia venuto soprattutto dal progresso della filosofia”.
Leopardi riconosce che il suo tempo, i tempi moderni, non possono
recuperare l'ingenuità degli antichi e che "unicamente ed esclusivamente
propria di questo secolo è la poesia sentimentale, cioè quella dei moderni, la
quale non si nutre di favole, immaginazioni e sogni, e fanciullesche e ingenue
fantasie, ma di idee, di filosofiche riflessioni, della cognizione e sentimento del vero, della condizione
drammatica dell'uomo esiliato dall'Assoluto, cui peraltro sempre tende”. La
poesia dunque è fondata non sulla felice ignoranza, ma sulla dolorosa consapevolezza del reale. (v. L'ultimo canto di Saffo]. Il problema di
L., d'ora innanzi, è non più respingere le esigenze della poetica romantica, d'altronde
insopprimibili, perché Leopardi vive i suoi tempi moderni e non gli antichi, ma
“di accomodarle al suo sentire”.
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Da numerose riflessioni presenti nello Zibaldone
è possibile dedurre le convinzioni maturate da L. riguardo alla poetica della rimembranza e dell'indefinito
(v, L’Infinito – Alla Luna). Dell'"indefinito" perché
l'infinito, cioè quello che non ha confini, l'indeterminato, il vago, lo
smisurato, il remoto ecc., sono caratteri della poesia. Della "rimembranza" perché questi
caratteri non si possono avere dal presente, che è sempre "vero", non
falsificabile, prosaico, circoscritto, ma si possono trovare solo nel ricordo
e, in particolare, nella rimembranza della fanciullezza e del fanciullesco fantasticare
o temere o gioire.
La poesia, secondo L., deve
rispondere all’aspirazione umana al
piacere; esclude elementi realistici, narrativi, di utilità sociale, di
insegnamento politico e invece contiene
elementi autobiografici, lirici, affettivi, memoriali, fondati
sull'immediatezza del sentimento.
Data la presenza innata dell’immaginazione nell’uomo e l’indeterminatezza
dell’immaginazione, la poesia adopera uno
stile e un linguaggio che offrano sensazioni vaghe, indefinite, incerte,
qualità presenti nel mondo poetico degli antichi.
L. afferma anche la specificità
della lingua poetica, che comprende sia parole “peregrine” sia semplici e quotidiane, spesso
in una prospettiva polisemica.
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La ripresa della
poesia a partire dal 1828 comporta la ripresa di concetti chiave della poetica
giovanile: la ricerca del vago e dell’indefinito e il tema della memoria. Però, anche quando il poeta, attraverso il
ricordo, recupera la condizione felice dell'adolescenza, non può dimenticare il
presente e l'angosciosa "verità" della condizione umana anzi, tutto
ciò ritorna e si scontra con quel dolce passato, che si è concluso "all'apparir
del vero" (v. A Silvia- Le
Ricordanze).
Viene meno, ora, la
contrapposizione tra poesia e filosofia: dopo le Operette
Morali la rappresentazione delle illusioni e il giudizio filosofico su di
esse e sul destino storico e individuale non possono rimanere disgiunti (v. La quiete dopo la tempesta).
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Anche nella fase finale della poesia
leopardiana (v. Ciclo di Aspasia – La
Ginestra) troviamo i temi della memoria, delle passioni, dei desideri
personali e collettivi ma essi sono visti nel presente e accompagnati da
un’esigenza di pensiero, da un bisogno di ragionare.
L. esprime una poetica che fonde
poesia e filosofia, riconoscimento del bisogno di armonia e bellezza e
denuncia delle mistificazioni e dei caratteri illusori che vede nelle incarnazioni storiche assunte
dall’umana aspirazione alla felicità.
In tali condizioni muta il compito
sociale della poesia: essa non deve più riscoprire la forza delle illusioni
ma stabilire il vero e comunicarlo agli uomini. La poesia moderna, secondo L.,
non può essere che poesia filosofica.
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