Riepiloghiamo i temi e i testi in vista della verifica del 12 maggio:
La vita non è naturalmente quella del singolo ma quella della città
Finché la casa di Enea sarà sulla rupe del Campidoglio avrà sede e durerà l'Impero Romano
E' però un privilegio riservato solo a Roma, perché nemmeno le città sono eterne come possiamo vedere in Aen. II 325, nelle parole sconfortate di Pantoo, l'anziano sacerdote di Apollo Si notino nell'uso dei perfetti il senso della fine e della resa:
Per gli uomini vale lo stesso discorso delle città: le ultime parole di Didone sono state (Aen, IV, 630)
Il tempo è irrecuerabile (inreparabile), ma la fama e la cosapevolezza di aver compiuto fino in fondo il proprio dovere è un tema che consola: Aen. X, 467-469
"A ciascuno è dato il suo giorno, il tempo della vita / è breve e irreparabile per tutti"
è un frammento delle parole di Giove a Ercole, nel X libro dell' Eneide di Virgilio. Ercole piange per l'approssimarsi della morte di Pallante per mano di Turno, e il padre degli dèi lo consola con queste parole, ricordando poi la fine immatura del figlio Sarpedone sotto le mura di Troia.
Nell'Elegia I, 4 sembra di sentire un po' di Orazio e un po' di Ovidio , quando il poeta rende grazie infinite a Giove, il Padre stesso decretò che non avesse valore...)
Le parole di Tibullo sono una sorta di Carpe diem dal punto di vista della bellezza: "At si tardus eris errabis" Ma fallirai se agirai con lentezza: passerà il tempo, e quanto presto! Il giorno non indugia e non ritorna; Quanto presto perde la terra i colori di porpora, quanto presto il pioppo svettante le sue belle chiome! Come giace il cavallo, che fuori dal recinto di Elea un tempo si lanciava, quando viene il fato della malferma vecchiaia. Si noti come qui la serior aetas premet, non diversamente da come nell'elegia I,10 la morte imminet, ossia incombe
1. VIRGILIO ENEIDE
C'è un tempo diverso all'interno del quale la morte non è spaventosa: è il TEMPO-ETERNITA' di Augusto del quale parla Giove nel Libro I, 278-282: Metas nec tempora pono:His ego nec metas rerum nec tempora pono;,
imperium sine fine dedi. Quin aspera Iuno,
quae mare nunc terrasque metu caelumque fatigat, 280
consilia in melius referet, mecumque fovebit
Romanos rerum dominos gentemque togatam:
La vita non è naturalmente quella del singolo ma quella della città
Finché la casa di Enea sarà sulla rupe del Campidoglio avrà sede e durerà l'Impero Romano
E' però un privilegio riservato solo a Roma, perché nemmeno le città sono eterne come possiamo vedere in Aen. II 325, nelle parole sconfortate di Pantoo, l'anziano sacerdote di Apollo Si notino nell'uso dei perfetti il senso della fine e della resa:
'uenit summa dies et ineluctabile tempus
Dardaniae. fuimus Troes, fuit Ilium et ingens 325
gloria Teucrorum; ferus omnia Iuppiter Argos
transtulit;'
Per gli uomini vale lo stesso discorso delle città: le ultime parole di Didone sono state (Aen, IV, 630)
Vixi et quem dederat cursum fortuna peregi 630Uomini e città muoiono, dunque. Anche per loro il tempo è ineluttabile e anche per loro c'è un ultimo giorno (summa dies). Degli eroi e delle città non restano che i nomi. Tuttavia, in fondo, la fama è una consolazione. vedi in Aen VII, 411-414:
[...] locus Ardea quondam
dictus auis, et nunc magnum manet Ardea nomen,
sed fortuna fuit. tectis hic Turnus in altis
iam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Il tempo è irrecuerabile (inreparabile), ma la fama e la cosapevolezza di aver compiuto fino in fondo il proprio dovere è un tema che consola: Aen. X, 467-469
stat sua cuique dies; breve et irreparabile tempus
omnibus est vitæ; sed famam extendere factis,
hoc virtutis opus
"A ciascuno è dato il suo giorno, il tempo della vita / è breve e irreparabile per tutti"
è un frammento delle parole di Giove a Ercole, nel X libro dell' Eneide di Virgilio. Ercole piange per l'approssimarsi della morte di Pallante per mano di Turno, e il padre degli dèi lo consola con queste parole, ricordando poi la fine immatura del figlio Sarpedone sotto le mura di Troia.
2. VIRGILIO GEORGICHE
Nelle Georgiche, in particolare nel primo libro, si sottolinea come uno è il tempo di agire. ed è una catastrofe non cogliere il tempo segnato dalla natura. Le stelle seguono sempre il medesimo ciclo. Non aspettano. La cura dei campi è annua, ma uno e solo uno è il momeento di agire.
Praeterea tam sunt Arcturi sidera nobis
Haedorumque dies seruandi et lucidus Anguis, 205
quam quibus in patriam uentosa per aequora uectis
Pontus et ostriferi fauces temptantur Abydi.
Libra die somnique pares ubi fecerit horas
et medium luci atque umbris iam diuidit orbem,
exercete, uiri, tauros, serite hordea campis 210
usque sub extremum brumae intractabilis imbrem;
nec non et lini segetem et Cereale papauer
tempus humo tegere et iamdudum incumbere aratris,
dum sicca tellure licet, dum nubila pendent.
uere fabis satio; tum te quoque, medica, putres 215
accipiunt sulci et milio uenit annua cura,
candidus auratis aperit cum cornibus annum
Taurus et auerso cedens Canis occidit astro.
3. TIBULLO ELEGIE (vai a traduzione)
Il discorso di Tibullo si avvicina nei toni e nei temi a quello di Orazio. le cose che in questo erano dette dal "clam" (di nascosto) in Tibullo I, 1 (vv. 69-74) è detto dal sub-:
Interea, dum fata sinunt, iungamus amores:
iam uenit tenebris Mors adoperta caput; 70
iam subrepet iners aetas, nec amare decebit,
dicere nec cano blanditias capite.
Nell'Elegia I, 4 sembra di sentire un po' di Orazio e un po' di Ovidio , quando il poeta rende grazie infinite a Giove, il Padre stesso decretò che non avesse valore...)
Le parole di Tibullo sono una sorta di Carpe diem dal punto di vista della bellezza: "At si tardus eris errabis" Ma fallirai se agirai con lentezza: passerà il tempo, e quanto presto! Il giorno non indugia e non ritorna; Quanto presto perde la terra i colori di porpora, quanto presto il pioppo svettante le sue belle chiome! Come giace il cavallo, che fuori dal recinto di Elea un tempo si lanciava, quando viene il fato della malferma vecchiaia. Si noti come qui la serior aetas premet, non diversamente da come nell'elegia I,10 la morte imminet, ossia incombe
At si tardus eris, errabis: transiet aetas.
Quam cito non segnis stat remeatque dies,
Quam cito purpureos deperdit terra colores,
Quam cito formosas populus alta comas! 30
Quam iacet, infirmae venere ubi fata senectae,
Qui prior Eleo est carcere missus equus!
Vidi iam iuvenem, premeret cum serior aetas,
Maerentem stultos praeteriisse dies.
Crudeles divi! serpens novus exuit annos, 35
Formae non ullam fata dedere moram.
Solis aeterna est Baccho Phoeboque iuventas,
Nam decet intonsus crinis utrumque deum
Simile è il ragionamento con cui, nell'elegia I, 8, Tibullo esorta la giovane Foloe, a ricambiare le attenzioni di Marato. E se permettete un consiglio, leggete i versi delicatamente erotici che anticipano questa citazione "[...] Non servono pietre preziose e gemme a una donna che indifferente dorme sola e di nessun uomo suscita il desiderio.Troppo, troppo tardi si rimpiange l'amore,troppo tardi la giovinezza, quando la vecchiaia, guastandolo,imbianca un volto segnato dagli anni"
Infine ricorda Virgilio il discorso contro la guerra nell'elegia I, 10, che però abbiamo proposto solo in traduzione i vv. 1-4 e 33-34
Cum vetus infecit cana senecta caput.
Tum studium formae est: coma tum mutatur, ut annos
Dissimulet viridi cortice tincta nucis;
Tollere tum cura est albos a stirpe capillos 45
Et faciem dempta pelle referre novam.
At tu, dum primi floret tibi temporis aetas,
Utere: non tardo labitur illa pede.
Chi per primo inventò l'orrore delle spade? 1
Feroce quell'uomo, veramente di ferro!
Così per il genere umano ebbero inizio le stragi, ebbero inizio le guerre;
così si schiuse la strada più breve d'una morte violenta [...]
Non è follia procurarsi con la guerra l'orrore della morte? 33
Incombe, e con passi felpati giunge di nascosto.
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