C'è un tempo diverso all'interno del quale la morte non è spaventosa: è il TEMPO-ETERNITA' di Augusto del quale parla Giove nel Libro I, 278-282: Metas nec tempora pono:
La vita non è naturalmente quella del singolo ma quella della città
Per gli uomini vale lo stesso discorso delle città: le ultime parole di Didone sono state (Aen, IV, 630)
Il tempo è irrecuerabile (inreparabile), ma la fama e la cosapevolezza di aver compiuto fino in fondo il proprio dovere è un tema che consola: Aen. X, 467-468
His ego nec metas rerum nec tempora pono;,
imperium sine fine dedi. Quin aspera Iuno,
quae mare nunc terrasque metu caelumque fatigat, 280
consilia in melius referet, mecumque fovebit
Romanos rerum dominos gentemque togatam:
La vita non è naturalmente quella del singolo ma quella della città
Finché la casa di Enea sarà sulla rupe del Campidoglio avrà sede e durerà l'Impero RomanoE' però un privilegio riservato solo a Roma, perché nemmeno le città sono eterne come possiamo vedere in Aen. II 325, nelle parole sconfortate di Pantoo, l'anziano sacerdote di Apollo Si notino nell'uso dei perfetti il senso della fine e della resa:
'uenit summa dies et ineluctabile tempus
Dardaniae. fuimus Troes, fuit Ilium et ingens 325
gloria Teucrorum; ferus omnia Iuppiter Argos
transtulit;
Per gli uomini vale lo stesso discorso delle città: le ultime parole di Didone sono state (Aen, IV, 630)
Vixi et quem dederat cursum fortuna peregi 630Uomini e città muoiono, dunque. Anche per loro il tempo è ineluttabile e anche per loro c'è un ultimo giorno (summa dies). Degli eroi e delle città non restano che i nomi. Tuttavia, in fondo, la fama è una consolazione. vedi in Aen VII, 411-414:
[...] locus Ardea quondam
dictus auis, et nunc magnum manet Ardea nomen,
sed fortuna fuit. tectis hic Turnus in altis
iam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Il tempo è irrecuerabile (inreparabile), ma la fama e la cosapevolezza di aver compiuto fino in fondo il proprio dovere è un tema che consola: Aen. X, 467-468
stat sua cuique dies; breve et irreparabile tempus omnibus est vitæ; sed famam extendere factis, hoc virtutis opus
"A ciascuno è dato il suo giorno, il tempo della vita / è breve e irreparabile per tutti"
è un frammento delle parole di Giove a Ercole, nel X libro dell' Eneide di Virgilio. Ercole piange per l'approssimarsi della morte di Pallante per mano di Turno, e il padre degli dèi lo consola con queste parole, ricordando poi la fine immatura del figlio Sarpedone sotto le mura di Troia.
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