E' l'inno della III Brigata garibaldina Liguria. L'autore delle parole è Emilio Casalini "Cini", assieme ai partigiani della Brigata; l'autore della musica- una tra le poche completamente originali - è Luciano Rossi " Lanfranco " che la compose durante i turni di guardia.
I ribelli della Montagna
Tra le versioni moderne, meritano di essere menzionate la versione registrata dai MCR con la Bandabardò nell'album 'Appunti Partigiani' (2005), quella degli Ustmamò per "Materiale resistente"(1995), e quella mai edita dei Ratti della Sabina.
“Sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. Antonio Gramsci, Scritti Giovanili.”
La voce anziana di Pinotti Avio, nome di battaglia Atos, introduce con queste parole la canzone “I ribelli della montagna” dei Modena City Ramblers (dall’album “Appunti partigiani” del 2005). Immagino che per molti dei giovani ascoltatori dei MCR questa sia stata la prima (e forse unica) occasione per entrare in contatto con Antonio Gramsci. E, come è successo anche a me, hanno probabilmente riferito erroneamente quella frase di Gramsci al contesto delle lotte partigiane contro i nazi-fascisti. E’ un errore in cui si cade facilmente. Ma Gramsci è morto nel 1937 e quella frase, parte di un articolo di giornale, è del 1917. Gramsci la pronuncia dunque in un contesto diverso e con un intento diverso. Certo, l’articolo del 1917 è un’esortazione forte a prendere posizione, a non essere spettatori passivi della storia. E dunque si adatta particolarmente bene al contesto delle scelte laceranti della Resistenza: da una parte o dall’altra. Ma come sempre ridurre il pensiero complesso ed articolato ad uno slogan è alquanto rischioso.
Antonio Gramsci (1891-1937)
“Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel (vedi) che «vivere vuol dire essere partigiani». Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.”
L’articolo inizia così. E termina, appunto:
“Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”(qui il testo completo: vedi).
Quando Gramsci scrive questo articolo per La Città futura, numero unico di propaganda della Federazione giovanile socialista piemontese, uscito l’11 febbraio 1917, ha 26 anni. E’ iscritto al Partito Socialista dal 1913 e contesta duramente la linea “riformista”. Lui è per la lotta di classe, per la rivoluzione. [...] Capovolgendo il punto di vista usuale Gramsci evidenzia il ruolo che l’indifferenza ha nella storia:
Antonio Gramsci (1891-1937).
“Ciò che succede (…) non è tutto dovuto all’iniziativa dei pochi che fanno, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti”. Non dunque solo “minoranze attive”, ma anche “maggioranze silenziose” o, meglio, passive. La storia è spiegata dall’operare di entrambe i gruppi sociali, ma in modo, per così dire, asimmetrico. Infatti per le maggioranze passive questa storia non è intellegibile. Ma per loro vale comunque la responsabilità, anche se non sono consapevoli della parte che hanno esercitato, quella appunto di passivi spettatori, di “assenteisti”.
Non sempre le cose ci appaiono come sono veramente
"Non siamo entusiastici ammiratori del diritto del pugno; eppure quei pugni vibrati robustamente sul ceffo di Bevione ci riempiono di giubilo e di ammirazione. Un pugno non è certo un ragionamento; ma è l’unica risposta che si può contrapporre ai «ragionamenti» di Bevione. (…) Ed un cazzotto, un umilissimo facchinesco cazzotto ne è stato il mezzo più efficace. Pertanto elogiamo il cazzotto. (…) Pertanto plaudiamo ai cazzotti, e auguriamoci che essi diventino un programma per liquidare i corrispondenti speciali, i pennaioli asserviti alla greppia.”
Potrebbero essere frasi di Benito Mussolini, ma non è così. A parlare, invece, è Antonio Gramsci (che pure il fascino di Mussolini l’aveva subito quando questi era direttore dell’Avanti!), in un articolo del 12 giugno 1916. Ma il 17 maggio 1916 aveva scritto: “Da qualche settimana mi alzo dal letto con una carducciana voglia di fare a pugni con qualcuno”. Qualche anno dopo, a chi lo invitava ad evitare attacchi giornalistici volgari contro i suoi bersagli, Gramsci risponde: “Per noi sono volgari le azioni in sé, non le parole. Per noi chiamare uno «porco» se è un porco, non è volgarità, è proprietà di linguaggio” (I criteri della volgarità, in “Il grido del popolo”, 23 marzo 1918). “Odio gli indifferenti”. Odio. Non è un’espressione che noi oggi usiamo pubblicamente con facilità. E’ un’espressione dura. Oggi diremmo: politicamente scorretta. Ma negli articoli di giornale scritti da Gramsci espressioni di violenza verbale non sono infrequenti. Punteggiano, anzi, le occasioni di polemica più dura, come abbiamo visto.
Palmiro Togliatti (1893-1964) primo
“editore” di Antonio Gramsci.
Ma anche manipolatore della realtà per fini politici.
come quando, nel dopoguerra scriveva che
Gramsci era morto in carcere
in realtà dal 1934 era agli arresti domiciliari
La violenza (quella “di classe”) era presente nella società (l’insurrezione degli operai a Torino nell’agosto 1917, originata dalla scarsità di pane a causa della guerra, finisce con oltre 500 caduti tra gli operai), ma era anche ritenuta indispensabile per fare la rivoluzione. Di entrambi gli aspetti Gramsci è pienamente consapevole. Tra la violenza dei “socialisti rivoluzionari” e la violenza dei borghesi esiste però, per Gramsci, una diversità: la violenza borghese è illimitata e continua, perché violenza di pochi contro i molti; la violenza socialista è “violenza transitoria” (Bolscevichi e antibolscevichi, in “Avanti!”, 16 novembre 1919). Abbiamo visto, poi, che le cose sono andate diversamente. In ogni caso la violenza è ritenuta necessaria. Volendo promuovere la rivoluzione – “l’urto violento delle due classi e l’affermazione della dittatura proletaria” (Lo sviluppo della rivoluzione, in “L’Ordine Nuovo”, 13 settembre 1919) – Gramsci è convinto sia “necessario incrudire il distacco delle classi” (I rivoluzionari e le elezioni, in “L’Ordine nuovo”, 15 novembre 1919). Anche per questo si contrappone alla corrente “riformista” del socialismo italiano, la cui azione tende a sfumare la separazione delle classi e l’identità delle due parti in lotta.
E’ certo questo anche il riflesso di quanto avviene in Russia nel 1917 (di cui Gramsci fu sin dall’inizio attento osservatore, riconoscendosi nelle posizioni di Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin). Ma l’opzione abbracciata da Gramsci, anche in quel drammatico dopoguerra, non è di certo l’unica possibile – pensarlo sarebbe un errore grossolano.
Antonio Gramsci è una delle figure intellettuali e politiche più importanti nella storia italiana del XX secolo. E come tale merita di essere conosciuto. Partecipa da acuto osservatore e da militante al passaggio dall’Italia liberale di Giolitti a quella fascista di Mussolini, con in mezzo la grande guerra. Guarda oltre confine alla rivoluzione Russa e partecipa all’organizzazione di un movimento comunista internazionale. I suoi testi giornalistici ci restituiscono uno spaccato dell’Italia a cavallo della prima guerra mondiale: egli ne coglie lucidamente tutti i caratteri di arretratezza.
[...] Insomma, limitarsi a citare la frase “odio gli indifferenti” in forma più o meno estesa non è rendere un buon servizio a Gramsci. Ne fa impropriamente un “santino” della Resistenza, un “idolo”. Ma non aiuta a capire la complessità del suo pensiero e la drammaticità dell’epoca in cui è vissuto. E dunque non aiuta a comprendere ed a vivere meglio la nostra epoca.
Mappa dell'Eneide Eneide Libro I Eneide Libro II Tu mi comandi, o regina, di rinnovare un inenarrabile dolore. (II, 3) Infandum, regina, iubes renovare dolorem. Non credete al cavallo , o Troiani. Io temo comunque i Greci , anche se recano doni . (II, 48-49) Equo ne credite, Teucri. Timeo Danaos et dona ferentes. Da uno capisci come son tutti. (II, 64-65) Ab uno disce omnis. La sola speranza per i vinti è non sperare in alcuna salvezza . (II, 354) Una salus victis nullam sperare salutem. Arma imbelle senza forza. (II, 544) Telumque imbelle sine ictu. Conosco i segni dell'antica fiamma [3] . (IV, 23) Adgnosco veteris vestigia flammae. La fama , andando, diventa più grande , e acquista vigore nell'andare. (IV, 174-175) Fama crescit eundo | Viresque acquirit eundo. Resta immutato nel suo pensiero, e lascia scorrere
Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur,quod in exiguum aevi gignimur,quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant,adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nec huic publico,ut opinantur,malo turba tantum et imprudens volgus ingemuit;clarorum quoque virorum hic affectus querellas evocavit.Inde illa maximi medicorum exlamatio est:<>; inde Aristotelis cum rerum natura exigentis minime conveniens sapienti viro lis:<>. Non exiguum temporis habemus,sed multum perdidimus.Satis longa vita in maximarum rerum consummationem large data est,si tota bane collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur,ultima demum necessitate cogente,quam ire non intelleximus transisse sentimus. Ita est: non accipimus brevem vitam, sed fecimus, nec inopes eius sed prodigi sumus.Sicut amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, at quamvi
vedi su torresani.edu Erminia, fingendosi Clorinda di cui ha preso le armi, esce dalla città per recarsi all'accampamento cristiano. Consapevole dei pericoli che corre, chiede allo scudiero che l'accompagna di anticipare a Tancredi il suo arrivo. Mentre attende impaziente il ritorno del suo fedele, contempla il cielo stellato e le tende in cui vive il cavaliere da lei segretamente amato. Era la notte, e 'l suo stellato velo chiaro spiegava e senza nube alcuna, e già spargea rai luminosi e gelo di vive perle la sorgente luna. L'innamorata donna iva co 'l cielo le sue fiamme sfogando ad una ad una, e secretari del suo amore antico fea i muti campi e quel silenzio amico. Poi rimirando il campo ella dicea: - O belle a gli occhi miei tende latine! Aura spira da voi che mi ricrea e mi conforta pur che m'avicine; così a mia vita combattuta e rea qualche onesto riposo il Ciel destine, come in voi solo il cerco, e solo parmi che trovar
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