da http://www.lankelot.eu. Il taglio dato alla lettura dell’opera è discutibile. “De reditu suo” non è il libro di viaggio di un politico che, nell’ombra, si dedica a tessere le fila di un colpo di stato: è il commovente canto di dolore di un uomo che torna nella sua terra, allontanandosi, forse per sempre, dall’Eterna che l’aveva adottato e onorato. Non c’è traccia d’altro che non sia malinconia, nostalgia, avvilente contemplazione delle rovine e memoria della passata grandezza. Tuttavia, considerando l’onestà intellettuale di Ricci e Bondì, che hanno voluto il film fosse “liberamente ispirato” e non “tratto da” De reditu suo, possiamo limitarci a prendere atto della convenzionale scelta di sceneggiatura: si pensi al “Gladiatore”, film nel quale l’eroe combatte per ripristinare gli antichi valori romani, ma perisce a causa di un tradimento, prima di riuscire nella folle impresa. Interessante l’idea di far esprimere servi e marinai in una lingua inesistente: tra loro, questi ultimi sembrano adottare un pastiche “slavizzante”. Senza dubbio l’espediente serve a trasmettere, da un lato, l’incomunicabilità tra “il mondo di Rutilio” e l’alterità; dall’altro, però, si fatica a immaginare che all’epoca esistesse una koinè non latina così stravagante.
Se l’espediente voleva avere valenza simbolica, esso risulta indovinato: se voleva essere fedele all’epoca, non sembra accettabile. La scelta dell’epilogo da dare alla vicenda non sembra probabile, per ragioni filologiche più che “simboliche”: si verifica un cortocircuito con la tradizione del testo. Si può avallare l’opzione soltanto rispettando la sua significativa carica allegorica. Memorabile il cammeo del triestino Herlitzka. Un’interpretazione superba e commovente.
Sembra che nella versione inglese il film verrà doppiato da attori shakesperiani. È paradossale pensare che “De Reditu”, che doveva essere girato in latino, possa diventare un paradigma della decadenza del sistema per le culture anglosassoni e non per i neolatini italioti: è quel che accadrà.
Tam prope Romanis, tam procul esse Getis
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